Nelle tradizioni religiose e filosofiche occidentali, il termine meditazione sta ad indicare una riflessione o contemplazione calma e concentrata su un concetto, un tema, o un testo religioso. Meditare, in questa accezione, significa perciò “pensare a qualcosa”, mettere in azione la mente simbolica, concettuale.
Nella tradizione buddhista la mente simbolica concettuale è considerata solo una delle sei modalità della mente e non costituisce l’oggetto principale dell’attenzione. Più comunemente la mente è portata su sensazioni fisiche (tipicamente il respiro), o percezioni sensoriali (udito, vista, gusto…).
La meditazione di consapevolezza ha le sue profonde radici nel buddhismo. Mindfulness è la traduzione in inglese della parola sati, in lingua Pali, la lingua in cui sono stati trascritti gli insegnamenti del Buddha. Sati sta a significare “consapevolezza, attenzione, ricordo”; è una abilità che si può coltivare e porta a vedere chiaramente quello che ci fa soffrire, e ad alleviarlo, quindi, ci fa sviluppare saggezza.
Secondo Kabat-Zinn (1990; 1994; 2003) mindfulness è la consapevolezza che emerge dal prestare attenzione in modo intenzionale, e non giudicante all’esperienza del momento presente momento dopo momento. Prestare un tale tipo di attenzione porta la persona a vivere il presente in modo consapevole, quindi meno reattivo rispetto alle nostre abitudini, e più accogliente e compassionevole (Bishop, 2004).