Quello che noi chiamiamo “stress” ha ben precisi correlati fisiologici nel nostro organismo che sono stati studiati approfonditamente. Quando eventi stressanti esterni o interni agiscono sull’organismo, questo risponde con modificazioni a livello cellulare, con l’immissione nel circolo sanguigno di sostanze prodotte dal sistema immunitario, dal sistema nervoso centrale e autonomo e dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA); queste modificazioni producono cambiamenti fisiologici e comportamentali che migliorano la capacità omeostatica (cioè il mantenimento di un equilibrio dinamico a livello biochimico) dell’organismo, che ne aumenta le possibilità di sopravvivenza.
Questa fu la grande scoperta di Hans Selye nel 1956, che introdusse per primo il termine “stress”. Nonostante non abbia mai vinto il Premio Nobel, Selye con la sua ricca produzione scientifica ha influenzato e continua ad influenzare la medicina e quasi tutte le discipline biologiche, dall’endocrinologia alla veterinaria, alla psicologia. Egli descrisse la “sindrome da stress” o “sindrome generale dell’adattamento” che include varie manifestazioni quali iperplasia del surrene, ulcerazioni gastrointestinali, involuzione timolinfatica, artrite, ipertensione, arteriosclerosi, e reazioni allergiche.
Infatti, se almeno per un certo periodo dopo l’evento stressante, la risposta è adattativa, cioè utile per mantenere l’omeostasi (equilibro biochimico interno di un organismo) in risposta ai fattori stressanti (stressor), se il fattore stressante continua, la capacità di mantenere l’equilibrio può diminuire.
Così, quando lo stress è cronico, o le richieste dell’ambiente si fanno pesanti e durevoli, anche quando gli eventi stressanti sono immaginati, si può giungere ad uno squilibrio del sistema nervoso, immunitario, cardiovascolare, e del metabolismo in generale. In queste condizioni l’organismo diventa vulnerabile allo sviluppo o al peggiornamento delle malattie.